#VG: Monster Hunter 4 Ultimate non è un gioco per vegani

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Monster Hunter è eroina digitale: dà piacere e assuefazione. È un gioco particolare, un action-RPG in cui, nomen omen, si impersona un cacciatore di mostri con un approccio forse poco adatto al mercato odierno, dato che richiede tanto grinding, ma che sa dare tanta soddisfazione e concede tanta libertà nel personalizzare il proprio stile di gioco.

Per fare un paio di paragoni azzardati, lo si potrebbe inserire tra Shadow of the Colossus e Pokémon: il senso di impotenza nell’incontrare un mostro, così come la brutta sensazione di aver fatto qualcosa di sbagliato quando la preda zoppica e con la faccia contratta dal dolore si ritira nel nido, mi hanno ricordato vagamente l’opera di Ueda, mentre per design dei mostri ci torviamo in zona Pokémon "adulto" con draghi, squali, conigli mannari, scimmioni, tutti con i loro moveset e con versioni shiny più potenti.

Insomma, Monster Hunter 4 Ultimate non è un gioco per vegani.

Nelle prime ore di gioco si ha l’impressione di trovarsi davanti a un prodotto grezzo: non c’è lock on sui nemici, e le mappe sono fatte di piccole arene disgiunte che non aiutano a creare una sensazione di mondo coeso. Due sono i macro-approcci al combattimento: armi a corto raggio, e attacchi a distanza. In entrambi i casi la mancanza apparentemente anacronistica della telecamera bloccata sul nemico si fa chiara: si incontrano i primi mostroni da tirare giù, si inizia ad imparare i loro pattern di attacco, si studia il loro comportamento, e ci si accorge che  posso essere attaccati su varie pari del corpo.

Correre sotto l’addome di un drago mentre attacca spazzando con la coda, squarciargli le ali rotolando su un lato, rompergli il muso mentre urla per richiamare l’attenzione degli altri animali, rompergli gli artigli delle zampe mentre tenta di schiacciarci: nulla di tutto questo sarebbe stato possibile con il targeting fisso della telecamera.

Allo stesso modo, imparare a conoscere le ambientazioni del gioco è fondamentale tanto quanto conoscere i comportamenti delle nostre prede: ogni zona nasconde angoli in cui ci si può riparare per riguadagnare energia bevendo una pozione o in cui si può affilare l’arma (che perde potenza progressivamente), e sporgenze dalle quali si può attaccare (ed essere attaccati) dall’alto.

Si inizia così, buttandosi a capofitto nel combattimento vero e proprio per poi capire che la preparazione, per una battuta di caccia, sarà importante tanto quanto l’abilità con l’arco o la spada: presa confidenza con le basi dell’azione, il gioco rivela un inaspettato grado di complessità negli elementi ruolistici, tutti legati al crafting.

Non si sale di livello uccidendo mostri, ma si raccolgono risorse per creare armi ed armature che fanno salire le statistiche e sbloccano abilità. E la creazione è solo l’inizio del circolo virtuoso del sistema di crafting: le armature dovranno essere migliorate, le armi dovranno evolvere in strumenti di attacco sempre più potenti raccogliendo altre risorse, artigli, scaglie, uccidendo compulsivamente lo stesso mostro più e più volte per diventare abbastanza potenti da poter passare a quello successivo.

La crescita delle statistiche non è l’unica molla che spinge a ripetere per l’ennesima volta la stessa missione: l’intelligenza artificiale gestisce benissimo il comportamento delle prede. Si inizia sempre con la sensazione di non farcela: i mostri sono aggressivi e minacciosi, tendono a incazzarsi man mano che subiscono attacchi e diventano più veloci e pericolosi, si ritirano nel nido mosci e claudicanti per evitare la morte e, dal sentirsi inadeguati, si passa al sentirsi quasi stronzi nel vedere la bestia piangere affaticata.

La progressione del gioco è studiata bene: non c’è mai la sensazione di trovarsi davanti a picchi di difficoltà scorretti, e in genere il gioco è rispettoso del tempo che il giocatore decide di investirci per tutta la “campagna” single player. E una volta alla fine, il gioco si mostra per quello che è veramente: un enorme tutorial per la modalità multiplayer.

Le battute di caccia con altri giocatori sono il vero cuore pulsante del gioco: le missioni iniziano a farsi toste, con più mostri nella stessa area di gioco o le versioni “shiny” più cattive e difficili da ammazzare, e le ricompense permettono di diventare dei semidei, creando armi e armature paurosamente potenti.

Monster Hunter è un gioco che sa dare tanto se si approccia nel modo giusto: si inizia piano, pianissimo, raccogliendo miele ed erbette in giro, e si finisce a dare la caccia a creature che fanno fatica a stare tutte intere nello schermo. E prima che sia possibile rendersene conto, la vera caccia ha già avuto successo: Capcom si è presa lo slot del mio New 3DS, e non lo mollerà a breve.

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