Smaltito l’E3 e la raffica di dirette ad orari improbabili, torniamo a noi. L’ultima volta ho tirato in ballo lo studio Shaft e non puoi parlare di Shaft senza parlare della serie con cui sono legati a doppio filo (come non puoi parlare di Ufotable senza parlare di Fate). Ecco quindi uno degli anime più strani, stilosi, fuori di testa in circolazione: Bakemonogatari.
In realtà, per essere preciso, dovrei parlare di Monogatari Series, che è la serie di light novel su cui si basano questi adattamenti di Shaft: tutto ha inizio nel 2009, quando decidono di trasporre il primo blocco di novel (Bakemonogatari appunto) e la serie, semplicemente, gli esplode tra le mani diventando un instant classic dalle vendite enormi in home video.
Questo porta ovviamente alla trasposizione di tutti gli innumerevoli seguiti (dove "innumerevoli" non è un’iperbole, visto che dal 2009 ad oggi continuano ad uscirne con regolarità), ma qui si esamina solo la prima serie, sia perché è tranquillamente autoconclusiva nei suoi 15 episodi, sia perché rimane quella qualitativamente migliore (con qualche eccezione negli ultimi archi narrativi e in quelli centrali). Tra l’altro è l’unica arrivata in streaming in Italia.
Non è facile descrivere questa serie, più unica che rara nel suo genere. Cominciamo dal titolo, crasi di "bakemono" (mostro) e "monogatari" (storia): si raccontano appunto le storie di un gruppo di ragazzi che viene a contatto con degli esseri paranormali, chiamati anomalie, causando vari problemi. Le anomalie però di solito non interferiscono con gli umani, finchè non sono questi ad attirarseli contro per questioni personali (che andranno affrontate per liberarsene).
Questa è solo la premessa della storia, ma i punti peculiari sono altri: innanzitutto c’è la scrittura dei dialoghi, brillanti, divertenti, pieni di giochi di parole, di citazioni ad altri anime ed alla cultura otaku in generale. Difatti Bakemonogatari si presenta all’apparenza come uno dei tanti harem ricchi di fanservice che piacciono tanto a un certo pubblico, ma allo stesso tempo ne ribalta e prende in giro gli stereotipi e i clichè.
Inoltre, dal lato visivo non sarà tecnicamente allo stato dell’arte, ma trasuda stile da ogni frame: la composizione delle scene, le inquadrature, le transizioni, tutto è fatto con una regia stramba e geniale allo stesso tempo. Questo riesce a movimentare e dare ritmo ad una serie che si basa essenzialmente sui dialoghi e molto poco sull’azione.
Non sono da meno le sigle, che cambiano ad ogni arco narrativo (ce ne sono ben cinque solo in questa prima serie, una per personaggio principale) e sono altrettanto fuori di testa (da questo punto di vista si sono superati nei vari seguiti). La vera perla però secondo me qui è la ending, comune a tutti gli episodi, ma con particolari che cambiano per ogni arco.
Immagino si sia già capito, ma questa è una serie molto divisiva: alcuni la odieranno, altri la ameranno. Di sicuro non lascia indifferenti, cosa che la rende meritevole di attenzione.
Ah, ovviamente è solo sottotitolata, doppiare una roba del genere non avrebbe senso (e sarebbe impossibile).
Scheda: Bakemonogatari
VVVVID: Bakemonogatari